Onorevoli Colleghi!

La situazione della didattica musicale in Italia prima del 1999.

      Non si può aprire un serio discorso sulla riforma degli studi musicali in Italia senza tratteggiare, sia pur brevemente, un quadro esauriente della situazione precedente.
      Nell'aprile 1994 è stata riordinata integralmente la legislazione scolastica italiana che, a seguito di numerosissime modifiche e aggiornamenti, consisteva in un ginepraio di leggi e normative applicative molto complesse. Con il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado», si è voluto raccogliere in un testo unico tutta la legislazione in vigore. Ciò chiaramente ha riguardato anche il settore musicale.
      L'insegnamento della musica in Italia, fino al 1999, era caratterizzato dal permanere di un doppio canale di formazione musicale: da una parte la formazione musicale professionale, appannaggio dei conservatori di musica, dall'altra la formazione musicale non professionale, o «educazione musicale», impartita dalla scuola dell'obbligo, dall'istituto magistrale e dalla scuola magistrale. Secondo il programma ministeriale dell'epoca, «l'educazione musicale di base non intende avviare alla formazione di futuri musicisti, ma fornire un primo livello di alfabetizzazione nel campo dei suoni». L'obiettivo era dunque una familiarizzazione generale con il mondo della musica, cui veniva riconosciuto un valore educativo; al contrario, l'obiettivo dei conservatori era (ed è) formare musicisti professionisti (concertisti,

 

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professori d'orchestra, cantanti e compositori).
      Per quanto riguarda la scuola elementare, la materia di studio era l'«educazione al suono e alla musica», che con la riforma del 1985 è stata affidata a uno degli insegnanti componenti il team della classe. All'insegnante di musica non era richiesta alcuna qualifica aggiuntiva, oltre alla preparazione fornitagli dall'istituto magistrale o (per la scuola materna) dalla scuola magistrale. L'orario era mediamente di due ore settimanali.
      Nella scuola media, la materia era denominata «educazione musicale», era affidata a docenti in possesso di diploma di conservatorio o di laurea in musicologia. Obiettivi e programmi (come nella scuola elementare) non erano molto particolareggiati e lasciavano uno spazio pressoché totale all'insegnante.
      La scuola magistrale, triennale, preparava esclusivamente all'insegnamento nella scuola materna. Il corso di musica intendeva offrire una conoscenza basilare della musica e del repertorio vocale relativo alla prima infanzia. L'istituto magistrale, quadriennale, preparava alla professione di maestro elementare. L'insegnamento della musica veniva impartito solo per un'ora settimanale, cercando di rivolgere la propria attenzione alle metodologie più appropriate per l'età scolare. Entrambi gli istituti non riuscivano comunque a superare nei programmi e nella vita scolastica la didattica musicale nozionistica di stampo ottocentesco, fatta di «nominalismo, solfeggismo e aritmeticismo» (Colariz).
      In nessuna di queste scuole era previsto lo studio di uno strumento musicale (tranne per i rudimenti di flauto dolce che si impartiscono alla scuola media): lo studio di uno strumento o del canto non era evidentemente considerato formativo.
      Un discorso a parte va fatto per l'università, in cui lo studio della musica è presente soltanto a livello teorico (ad esempio, i corsi di laurea in discipline della musica e in musicologia, afferenti alle facoltà di lettere e filosofia).
      La formazione musicale professionale, come detto, avveniva esclusivamente nei conservatori di musica, cui si devono aggiungere gli istituti musicali pareggiati ai conservatori (per lo più provinciali o comunali), le scuole civiche (anch'esse comunali o provinciali), fiorite un po' dappertutto nel tentativo di soddisfare la grande richiesta di istruzione musicale, e le scuole e le accademie private. I conservatori di musica e gli istituti musicali pareggiati rilasciavano quello che allora era l'unico titolo musicale professionale (per strumento, canto, composizione, eccetera): il diploma. Ai conservatori si accedeva mediante esame di ammissione, con parametri di età variabili a seconda del corso prescelto. La durata dei corsi era anch'essa variabile a seconda dello strumento: si andava dai cinque anni del canto ai sei-sette degli strumenti a fiato e del contrabbasso, ai nove dell'arpa, ai dieci di pianoforte, chitarra, archi, composizione. L'ordinamento dei conservatori, regolato da norme vetuste (si pensi ai programmi, che risalivano al 1930), mirava a curare una preparazione semplicemente tecnico-professionale dello studente. Il fine esplicito dei conservatori era quello di preparare concertisti o compositori. Non era presente (fino agli anni '70) alcuna scuola di didattica. La formazione culturale restava affidata alla scuola, essendo ammessa la doppia frequenza scuola-conservatorio o università-conservatorio. Ma l'allievo del conservatorio poteva, una volta terminata la scuola dell'obbligo, proseguire gli studi solo al conservatorio.

I problemi.

      Possiamo dire che non c'era settore istituzionale e culturale italiano ed europeo che non lamentasse la totale inadeguatezza della struttura didattica musicale italiana, tant'è che negli ultimi quaranta anni sono stati più volte annunciati radicali interventi, mai attuati fino al 1999 (riforma dei conservatori e delle accademie).
      Problema prioritario era innanzitutto la non ben definita collocazione istituzionale

 

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dei conservatori. Essi non erano università e il diploma non era una laurea. Ciò faceva sì che il nostro titolo non fosse riconosciuto (o fosse riconosciuto solo parzialmente) in Europa, e che i nostri studenti, una volta all'estero, dovessero frequentare di nuovo le università straniere. D'altra parte il diploma di conservatorio non era neanche un diploma di scuola media superiore, e dunque non dava accesso all'università. Chi voleva accedere all'università doveva avere anche un diploma di scuola media superiore. Il diploma, in fin dei conti, non aveva un valore chiaro e spendibile. Se a ciò aggiungiamo che le università curavano (e curano) la sola formazione teorica (storia della musica, paleografia musicale, estetica, eccetera), possiamo comprendere come in Italia fosse ancora (purtroppo) ben viva la distinzione tra musica teorica e musica pratica che ci trasciniamo fin dall'antica Grecia: da Platone, attraverso il teorico medievale Severino Boezio fino a Benedetto Croce e Giovanni Gentile (XX secolo), la «cultura» coincideva con la speculazione astratta. Boezio, per esempio, non riconosceva all'esecutore (strumentista o cantor) nemmeno la qualifica di musicus, poiché musicus era colui che manteneva un rapporto intellettuale e non pratico con la musica. In questa visione ciò che è pratico non è cultura ma techné, arte nel senso di mestiere, arte dell'artigiano. La preparazione italiana era dunque sempre monca: il musicista italiano poteva non essere colto (se non si preoccupava di darsi una cultura da sé); il musicologo italiano poteva non conoscere la musica (se non si preoccupava di conoscerla da sé).
      La doppia scolarità (frequenza contemporanea scuola-conservatorio) provocava un'ulteriore, grave conseguenza: l'abbandono scolastico. Frequentissimi erano gli studenti di conservatorio che si fermavano alla licenza media, senza proseguire gli studi nella scuola secondaria superiore.
      Come accennato, il diploma di conservatorio, unico titolo musicale professionale, era finalizzato a formare musicisti professionisti, e non didatti. L'immobilismo dei programmi dei conservatori si rifletteva anche sull'insegnamento dell'educazione musicale: i docenti di educazione musicale nella scuola non avevano altra preparazione didattica che quella curata da sé al di fuori della scuola pubblica.
      La fortissima richiesta di formazione musicale strumentale o vocale non necessariamente professionalizzante, non curata dalla scuola pubblica, unita a motivazioni concomitanti di ordine politico, ha causato un aumento esponenziale del numero dei conservatori e degli istituti musicali pareggiati. Ciò ha portato almeno due conseguenze: 1) lo snaturamento dei conservatori, che da scuole destinate a formare una élite di musicisti professionisti, diventano scuole di massa destinate in massima parte a dare una semplice formazione di base (senza avere però né la vocazione, né le competenze, né l'ordinamento o i programmi adeguati allo scopo) ad allievi che abbandoneranno gli studi musicali dopo pochi anni; 2) la crescita esponenziale del numero dei diplomati, senza alcuno sbocco sul mercato artistico-professionale o didattico, che ha creato una gravissima situazione di disoccupazione o di diversa occupazione (si pensi all'ingolfamento delle graduatorie di educazione musicale nella scuola media, o all'impressionante numero di musicisti diplomati che opta per l'insegnamento di sostegno o per altri tipi di lavoro).
      Volendo tentare una summa, avevamo in Italia un sistema della formazione musicale professionale (conservatori e istituti pareggiati) chiuso in se stesso, impermeabile a ogni innovazione, fermo ai programmi e all'impostazione strutturale e culturale dei primi decenni del '900, totalmente avulso dalla realtà culturale, musicale e didattica nazionale e internazionale e inadeguato persino a supportare la nuova funzione richiestagli di semplice formazione musicale non professionale. Dall'altra parte, avevamo e abbiamo ancora un sistema dell'educazione musicale (scuole pubbliche) caratterizzato da una certa evoluzione nei programmi, ma che si ostina a non considerare formativo lo
 

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studio di uno strumento musicale e si avvale di docenti cui non è richiesta alcuna preparazione musicale specifica (materne, elementari) o cui non è richiesta alcuna preparazione didattica specifica (medie e magistrali).

Tentativi di riforma: la scuola.

      La «scuola media a indirizzo musicale», nata in via sperimentale nel 1979, aggiornata con il decreto del Ministro della pubblica istruzione 13 febbraio 1996 e ricondotta a ordinamento con la legge 3 maggio 1999, n. 124, offre per la prima volta la possibilità dello studio di uno strumento musicale e della teoria e solfeggio al di fuori di un conservatorio (e a fini non professionalizzanti, ma educativi). Il decreto del 1996 afferma, tra l'altro, che tale esperienza «deve trovare ulteriore, progressiva diffusione sul territorio, allo scopo di soddisfare in maniera sempre più estesa e adeguata la crescente richiesta di fruizione della cultura musicale da parte delle giovani generazioni, attraverso un modello organizzativo che, assorbendo altre esperienze, consenta un approccio più idoneo e ordinato al fatto musicale inteso nella sua globalità». L'ammissione al corso avviene per esame, con una prova attitudinale svolta davanti a una commissione di cui fanno parte il docente di educazione musicale e i docenti di strumento. All'insegnante di educazione musicale è affidato l'insegnamento di teoria e solfeggio, e gli allievi che frequentano il corso hanno diritto a un'ora individuale di strumento alla settimana. Ciò non varia l'orario delle altre materie scolastiche, dal momento che gli insegnamenti musicali (pur essendo curriculari) sono svolti nel pomeriggio, al di fuori dell'orario normale delle lezioni. I docenti devono essere in possesso del diploma specifico di conservatorio, e sono immessi in una graduatoria provinciale per la cui compilazione si guarda anche ai titoli artistico-professionali posseduti, secondo una tabella ministeriale definita «provvisoria», ma ancora in vigore. Non è richiesta alcuna preparazione didattica specifica per gli insegnanti.
      I «licei musicali sperimentali» nascono a metà degli anni '70 come sperimentazione interna ai conservatori di musica, con lo scopo manifesto di permettere agli allievi di conservatorio che finivano la scuola media di conseguire un diploma di scuola secondaria superiore. Qualcosa di simile si era già fatto, circa un decennio prima, con l'istituzione delle scuole medie annesse ai conservatori. In qualche caso (davvero sporadico) la sperimentazione ha riguardato qualche istituto esterno al conservatorio, che alla fine del quinquennio rilasciava il diploma di «maturità artistica ad indirizzo musicale», equipollente a qualunque altro diploma di scuola secondaria superiore. L'obiettivo principale dell'istituzione del liceo musicale sperimentale è stato quello di comporre il divario tra professionalità musicale e formazione culturale, con l'inserimento nel curriculum di studi di discipline di carattere storico, letterario, artistico, scientifico, non previste dal curriculum tradizionale dei conservatori. In questo modo l'istituzione del liceo musicale sperimentale veniva a colmare una lacuna negli studi musicali e a risolvere alcune gravi difficoltà, come la frequenza di un doppio ordine di studi (scuola secondaria e conservatorio) o, peggio, l'abbandono degli studi scolastici dopo la terza media per frequentare il solo conservatorio.
      Nel 1999 il Ministero della pubblica istruzione istituisce i cosiddetti «laboratori musicali» nelle scuole di ogni ordine e grado. A circa 400 scuole italiane è concesso un finanziamento una tantum (in media 40 milioni delle vecchie lire) utilizzabile per l'acquisto di strumenti e attrezzature musicali. Sfogliando le circolari ministeriali e i documenti prodotti dal cosiddetto «gruppo di lavoro» costituito presso il Ministero per la creazione dei laboratori, si può constatare come il laboratorio musicale sia pensato sostanzialmente in senso fisico come «luogo in cui fare musica», ossia luogo permanentemente attrezzato e adibito affinché studenti e docenti vi si riuniscano e facciano

 

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concretamente musica assieme. Viene dunque sottolineato il ruolo attivo e creativo del discente che non deve limitarsi a «ricevere» insegnamenti, ma deve «fare» musica, pur se guidato e coadiuvato dal docente.

Tentativi di riforma: la formazione dei docenti.

      L'istituzione, dapprima in via sperimentale, poi ordinaria, di nuovi corsi nei conservatori (o l'innovazione di quelli tradizionali) è stato l'unico modo, fino alla riforma del 1999, per cercare di svecchiare strutture e programmi troppo vetusti e obsoleti. Mentre le sperimentazioni sugli insegnamenti tradizionali (ad esempio: pianoforte, composizione, eccetera) sono state ristrette a pochissimi conservatori (Milano tra questi), diffusione ben maggiore hanno avuto i corsi di nuova istituzione (si pensi allo studio degli strumenti antichi, del jazz, della musica elettronica e così via). Tra i corsi di nuova istituzione merita la nostra attenzione il corso di «didattica della musica», nato una trentina di anni fa, poiché esso rappresenta una novità dirompente nei conservatori italiani: per la prima volta, infatti, nel conservatorio nasce un corso dedicato alla formazione dei didatti e, cosa ancora più importante, si riconosce ad esso valore abilitante per l'insegnamento dell'educazione musicale nella scuola. Si trattava di un corso post-diploma, quindi sempre in qualche maniera legato alla vecchia logica dell'insegnamento conservatoriale, ma imperniato su materie eminentemente pedagogico-musicali; per la sua giovane età esso ha potuto giovarsi dell'apporto delle migliori e più recenti esperienze didattiche maturate soprattutto all'estero e importate in Italia da «pionieri» della didattica corale e strumentale.
      Un'altra via adottata per la formazione dei docenti di educazione musicale è stata da ultimo la «scuola universitaria di specializzazione all'insegnamento secondario», una scuola biennale post-laurea, dalla frequenza obbligatoria, gestita dalle università e finalizzata, nei progetti del Ministero, a risolvere il problema dei concorsi e del precariato. La breve esperienza delle scuole universitarie di specializzazione, fonte di infiniti contrasti, può dirsi oramai conclusa, viste le intenzioni del Ministero di abolirle per dare valore abilitante direttamente alla laurea specialistica di secondo livello (ora «laurea magistrale») a indirizzo didattico. Per quanto riguarda espressamente le materie artistiche e musicali, le scuole di specializzazione davano a parer nostro una preparazione esclusivamente teorica e del tutto avulsa dalla realtà dell'insegnamento musicale scolastico. In seguito alla riforma in senso universitario di accademie e conservatori, saranno queste ultime istituzioni a divenire centri di formazione degli insegnanti di arte, musica e di strumento, attraverso l'istituzione di bienni superiori di secondo livello didattici abilitanti.

La riforma dei conservatori di musica.

      Dopo decenni di aspri dibattiti, con legge 21 dicembre 1999, n. 508, i conservatori di musica, insieme alle accademie, sono stati finalmente riformati ed elevati al livello universitario, sotto la comune denominazione di Istituti di alta formazione artistica e musicale (AFAM). I diplomi conseguiti con il vecchio ordinamento sono stati equiparati alla laurea dal decreto-legge 25 settembre 2002, n. 212, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 268 (naturalmente solo per chi possiede anche un diploma di scuola secondaria superiore).
      La riforma dei conservatori può dirsi a ragione il «grimaldello» attraverso cui si è finalmente scardinato l'incancrenito status quo della didattica musicale italiana (professionale e no). È la «rivoluzione imposta» (dall'Europa) che sta permettendo lo svecchiamento delle strutture e dei programmi, di tutta l'impostazione dell'insegnamento musicale, non solo nei conservatori stessi, ma anche in tutto il resto dell'istruzione nazionale.

 

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      Ma analizziamo uno ad uno gli aspetti positivi della riforma dei conservatori:

          1) i conservatori escono dal loro secolare «limbo» (scuola secondaria? scuola professionale?) per approdare alla fascia universitaria, acquistando un'autonomia pari a quella delle università, potendosi dotare di propri statuti e quindi eleggere propri organi di autogoverno (regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132). Con l'equiparazione alle università di accademie e conservatori (tutte «Istituzioni di alta cultura») verrà finalmente data piena applicazione all'articolo 33 della Costituzione;

          2) i titoli rilasciati dai conservatori sono equiparati ai titoli universitari;

          3) i programmi si rinnovano e una serie di discipline teoriche si aggiungerà a quelle pratiche. L'impostazione e la struttura universitaria dei corsi dovrebbe finalmente portare alla formazione di un musicista colto e consapevole e alla formazione dei didatti, sia dell'educazione musicale che dello strumento musicale;

          4) verrà gradualmente meno la doppia scolarità. Il corso al conservatorio diventerà un vero e proprio corso universitario, accessibile (con qualche eccezione) solo ai diplomati alla scuola secondaria superiore e incompatibile con gli altri corsi di pari livello;

          5) per quanto riguarda le scuole inferiori, il passaggio dei conservatori all'università impone la creazione di una serie di scuole musicali nella fascia dell'obbligo (scuole primarie musicali, scuole secondarie di primo grado musicali, licei musicali).

      Purtroppo, a distanza di ben sette anni dalla emanazione della legge di riforma, essa non è stata ancora pienamente attuata (per la mancata emanazione dei regolamenti di attuazione); e, cosa ancor più grave, non è neanche stata avviata una riforma degli studi musicali inferiori. Detto comportamento, come è ovvio, ha vanificato le legittime aspettative delle Istituzioni e ha leso soprattutto i diritti degli studenti italiani, ancora una volta mortificati rispetto agli studenti stranieri. La competente Commissione di Bruxelles ha pertanto accolto una petizione proposta dai sindacati italiani del settore avverso il Governo italiano per l'inspiegabile ritardo nel dare esecuzione alla legge 21 dicembre 1999, n. 508, di riforma di accademie e conservatori di musica.

La presente proposta di legge.

      La presente proposta di legge, in linea con le direttive europee, prevede:

          a) il potenziamento dell'insegnamento della musica (didattica musicale di base) in tutte le scuole: nella scuola dell'infanzia (sei ore settimanali), nella scuola primaria (cinque ore settimanali), nella scuola secondaria di primo grado (tre ore settimanali) e di secondo grado (due ore settimanali);

          b) l'istituzione della scuola primaria ad indirizzo musicale, con inizio al terzo anno;

          c) per quanto riguarda la scuola secondaria di primo grado, si prevede il ripensamento e potenziamento della scuola media a indirizzo musicale con l'istituzione della scuola secondaria di primo grado ad indirizzo musicale;

          d) per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, si prevede l'istituzione del liceo musicale. Al liceo viene riconosciuta un'ampia autonomia gestionale per l'organizzazione di spazi e di stagioni concertistiche. Il diploma dà accesso a tutti i corsi di laurea nelle università;

          e) viene sancito definitivamente e senza possibilità di equivoco il principio fondamentale della separazione, anche nella disciplina delle abilitazioni, tra didattica di base (insegnamento della musica) e didattica di indirizzo (insegnamento dello strumento musicale, del canto e della danza e delle discipline teoriche e storiche). La didattica musicale di indirizzo,

 

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infatti, non dà una preparazione musicale generale come la didattica musicale di base, ma si muove su un suo percorso autonomo, dando competenze musicali specifiche, che possono essere fornite esclusivamente da docenti forniti di specifiche professionalità;

          f) importantissima lacuna colmata dalla presente proposta di legge è quella relativa alla disciplina delle abilitazioni, che in Italia, purtroppo, arriva chissà perché sempre ex post, a ratificare una situazione di fatto di solito ormai irreversibile, e mai ex ante, a prevenirla. Ebbene, questa volta non è così: la proposta di legge regola con grande minuzia il sistema delle abilitazioni in materia musicale, demandandolo interamente ai conservatori di musica. Si riconosce che la musica (sia intesa come didattica di base, che come didattica di indirizzo) debba essere insegnata solo da docenti professionalmente qualificati, e che l'unica istituzione che può assicurare e certificare la competenza didattica in campo musicale è il conservatorio. Si pone fine, almeno in campo musicale, alla vera e propria sciagura delle cosiddette «abilitazioni riservate»;

          g) un'altra grande novità della presente proposta di legge è l'esplicito riconoscimento del ruolo e della funzione dei laboratori musicali, nei quali il Ministero dell'istruzione ha investito negli anni ingenti risorse, e che insieme alle scuole ad indirizzo e alle scuole sperimentali diventano i fulcri della riforma. Al legislatore è apparso d'altra parte altrettanto opportuno non disperdere il serbatoio di risorse umane costituito dal laboratorio musicale: serbatoio fatto di musicisti diplomati che hanno lavorato a contratto d'opera, in orario extracurriculare, nella scuola sede del laboratorio;

          h) gli studi di alta formazione musicale vengono impartiti dai conservatori di musica, che sono equiparati in maniera chiara e definitiva alle università, per quanto riguarda strutture, docenze e titoli rilasciati. Si risolve il problema annoso degli accompagnatori al pianoforte e dei pianisti accompagnatori, che sono equiparati a tutti gli effetti al personale docente. La danza viene inserita a pieno titolo tra le materie di studio in tutto il percorso della formazione musicale, conservatori compresi. Si impone al Governo l'emanazione, entro un anno, di tutti i regolamenti e i decreti di attuazione della legge n. 508 del 1999 di riforma dell'alta formazione artistica e musicale e, nello stesso termine, l'istituzione o la messa a regime di tutti i bienni superiori abilitanti.

      In definitiva, ci sembra che questa proposta di riforma degli studi musicali in Italia possa incontrare pienamente il favore di studenti, docenti, dirigenti e organizzazioni di categoria; e ci auguriamo che sia proprio la presente proposta di legge la base per la ormai improcrastinabile riforma degli studi musicali in Italia.

 

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